Indice
I diritti della personalità
Diritti della personalità: caratteristiche
Diritto alla salute
Il diritto dalla salute secondo la Costituzione della Repubblica Italiana
Art. 2 della Costituzione
Art. 3 della Costituzione
Art.32 della Costituzione
I diritti della persona sono un complesso di situazioni giuridiche strettamente collegate al concetto di persona. Il concetto di persona non coincide necessariamente con quello di soggetto giuridico, ma comporta una considerazione più ampia del semplice "centro di imputazione di situazioni giuridiche soggettive".
La persona è l’insieme di tutte le caratteristiche del singolo individuo, e quindi delle caratteristiche fisiche tangibili, etiche, comportamentali, morali e spirituali, nonché della proiezione del singolo nella vita sociale, ossia della percezione che ogni persona dà di se stessa all’esterno.
Questo insieme di caratteristiche dà luogo ad una combinazione irripetibile: quando si parla di identità, dal punto di vista giuridico si intende parlare di individui unici e dalle caratteristiche irripetibili.
Da considerare è anche l'aspetto della disponibilità dei diritti che gode un soggetto riguardo a se stesso: questa riflessione è importante per la tecnica di tutela che l'ordinamento deve apprestare per soccorrere il singolo, come verrà meglio detto in seguito.
Diritti della personalità: caratteristiche
La dottrina ha cercato di sistemare dogmaticamente la categoria dei diritti della persona, estrapolando dalla casistica alcune caratteristiche tipiche di queste posizioni soggettive.
Si tratta di diritti:
- aventi natura assoluta (c.d. diritti assoluti), nel senso che possono essere tutelati erga omnes e non solo nei confronti di chi sia entrato in contatto con il titolare.
- natura non patrimoniale, nel senso che i diritti della persona non hanno un valore economico predeterminato corrispondente. Una parte della dottrina, utilizzando un concetto ampio di patrimonio come insieme delle situazioni giuridiche e dei beni–interessi che gravitano nella sfera giuridica di un singolo individuo, ha affermato che i diritti della persona possono essere visti anche come diritti di natura patrimoniale. Quest'ultima accezione assume rilievo nel momento in cui occorre quantificare il risarcimento per il danno arrecato a tali diritti.
- personalissimi ossia riconosciuti e quindi appartenenti espressamente al soggetto quindi:Imprescrittibili, perché il non-uso in nessun caso ne comporta l’estinzione.
- Indelegabili;
- Inalienabili, nel senso che non possono essere oggetto di alienazione né di atti dispositivi di qualsiasi genere.
- Risarcibili, in quanto se è vero che il bene–salute non può essere ceduto, tuttavia la sua violazione ne comporta il risarcimento del danno quale comune diritto di credito, cedibile e trasmissibile (soprattutto nel caso di successione mortis causa). Per cui bisogna distinguere tra il diritto della personalità in senso proprio che appartiene al soggetto (quindi indisponibile perchè attinente al diritto alla vita) dal diritto di credito che ne possa derivare (quindi disponibile).
In Italia, a parte le «guarentigie» dello Statuto albertino, mancava una tutela dei diritti della personalità, fino a quando la costituzione ne ha riconosciuto espressamente la tutela ma ancor prima la legge del 1941 sul diritto d'autore e il Codice del 1942 poi hanno disciplinato il diritto al nome e il diritto al ritratto, come articolazioni del cd. diritto all'autodeterminazione.
La prima legge in materia, ricordata dalla dottrina, è quella tedesca del 1907 sull'uso delle fotografie e sulla tutela del ritratto, emanata dopo lo scandalo che nacque dalla pubblicazione di alcune fotografie di Otto von Bismarck sul letto di morte.
Diritto alla salute
Per millenni la malattia è stata considerata un fenomeno magico-religioso. Nella Grecia antica con Ippocrate si ha una medicina razionale fondata sull'osservazione. In seguito le concezioni di salute e malattia sono rimaste non scientifiche fino agli ultimi secoli.
Con la nascita della medicina scientifica (alla fine del Settecento) nasce il modello bio-medico - in concomitanza con la nascita della società industriale - che si occupa più della malattia che non della salute e delle condizioni di vita e lavorative della popolazione: il concetto di salute era inteso in senso limitativo, cioè solo come assenza di malattie o di infermità, fisiche e psichiche.
Verso la fine del XX secolo il concetto di salute globale porta con sé una concezione della persona come unità psico-fisica interagente con l'ambiente circostante che è il presupposto per "una promozione ed educazione alla salute" e una "medicina della persona" nella sua totalità fino alla delibera dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) - agenzia dell'ONU istituita con l'obiettivo di operare per far raggiungere a tutte le popolazioni il livello di salute più elevato possibile - del 1977 che attribuisce alla salute una nozione molto più ampia, concependola come "stato di completo benessere fisico, mentale e sociale", quindi con riferimento al benessere del soggetto nell’ambiente salubre, alla fruibilità dei servizi minimi sufficienti per l’integrità fisica e sociale dell’ambiente, ecc.
La salute, in quanto indispensabile presupposto per il godimento di tutti gli altri diritti costituzionali, viene riconosciuta come un diritto fondamentale (la cui lesione impone il risarcimento del danno), rientrando quindi nei diritti della personalità applicandosi quindi tutte le caratteristiche di detti diritti assoluti, sopra meglio evidenziati: diritto personalissimo, quindi indelegabilità e inalienabilità, imprescrittibilità e natura non patrimoniale ma con possibilità di sviluppare diritti di credito; vale il principio per il quale tutti hanno diritto ad essere curati, anche se non tutti hanno diritto a cure gratuite.
Il diritto alla salute coincide, tradizionalmente, col diritto al rispetto dell'integrità fisica dell'individuo; ma nella concezione solidaristica della Costituzione esso comporta anche il diritto all'assistenza sanitaria: infatti, con la riforma sanitaria del 1978, l'istituzione del servizio sanitario nazionale ha esteso l'obbligo dello Stato di assicurare le prestazioni sanitarie e farmaceutiche non solo agli indigenti, ma anche a tutta la popolazione.
La nozione di salute è polisemia nel senso che produce più significati e, forse per questo, è sempre stata manipolata sia nei vari momenti storici sia negli ordinamenti degli stati, differenziandosi al variare delle finalità politiche, tanto che il concetto di salute si è trasformato da "bene" individuale (necessità del singolo di essere curato) a "bene" collettivo (interesse della comunità ad avere individui sani), con un relativo adattamento dell’atteggiamento delle Istituzioni verso la questione sanitaria. Parallelamente anche il ruolo dello Stato è cambiato, passando da un ruolo meramente assistenzialistico a gestore esclusivo della sanità, con precisi doveri di intervento.
La Conferenza Internazionale della Sanità (New York, 1946) e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definiscono la salute come "uno stato di completo benessere fisico, mentale, sociale e non consiste soltanto nell’assenza di malattie o infermità. Il possesso del migliore stato di sanità che si possa raggiungere costituisce uno dei diritti fondamentali di ciascun essere umano, qualunque sia la sua razza, la sua religione, le sue opinioni politiche, la sua condizione economica e sociale. I Governi hanno la responsabilità della sanità dei loro popoli: essi per farvi parte devono prendere le misure sanitarie e sociali appropriate."
Da questa definizione si delinea come compito dello Stato sia la prevenzione e la limitazione delle situazioni di non-benessere, che possono impedire al soggetto una vita dignitosa. Il diritto alla salute rappresenta, quindi, uno dei diritti fondamentali della persona, diritto che ne riconosce la dignità, che deve essere salvaguardato anche attraverso l’azione dei pubblici poteri.
Questo principio assegna agli Stati e alle loro articolazioni compiti che vanno ben al di là della semplice gestione di un sistema sanitario.
In tale contesto, la salute viene considerata più un mezzo che un fine e può essere definita come una risorsa di vita quotidiana che consente alle persone di condurre una vita produttiva a livello individuale, sociale ed economico ed è competenza dello Stato sociale garantire a tutti l’accesso ai diritti fondamentali, mettere nelle condizioni tutti di poterne fruire in eguale misura e tutelare i soggetti deboli e marginali.
L’OMS con l’emanazione delle direttive note come "principio di equivalenza delle cure" sancisce come inderogabile la necessità di garantire al detenuto le stesse cure, mediche e psico-sociali, che devono essere assicurate a tutti gli altri membri della comunità: la garanzia dell’equità della salute per tutti i cittadini è il fine e l’obiettivo che devono perseguire i servizi sanitari nazionali ad impronta solidaristica.
Alcuni autori (Amartya Sen) distinguono "l’equità della salute" dalla semplice "equità delle cure", perché la prima non è la semplice disponibilità di servizi sanitari, ma è la reale possibilità di utilizzo degli stessi per raggiungere un effettivo stato di salute da parte dell’utente, in base ai suoi bisogni.
L’esercizio concreto di questo diritto comporta l’elaborazione di paradigmi etici ispirati ad una visione della giustizia personale e sociale nello stesso tempo, cioè deve rispettare le esigenze dei singoli e della collettività.
Il principio di giustizia si traduce quindi nell’adozione di due criteri correlati:
- Il criterio d’imparzialità, fondato sull’uguale dignità degli uomini. Implica che tutti hanno diritto ad uguale trattamento mediante la garanzia dei beni fondamentali.
- Il criterio dell’equa distribuzione delle risorse, fondato sul riconoscimento della solidarietà.
Se si considera il diritto alla salute come un diritto alla persona o della personalità ne conseguono alcuni principi che possiamo cosi definire:
- principio di autonomia: riflette il rispetto alla persona e il riconoscimento del suo diritto all’autodeterminazione;
- principio di beneficialità: impone la ricerca di assicurare la salute ed il benessere della persona;
- principio di non-maleficità: esige di non recare danno alla persona;
- principio di giustizia: prescrive di trattare le persone in modo uguale e di evitare ogni forma di discriminazione.
Ne segue che la tutela della salute deve essere considerato come un diritto sociale del cittadino, con radici nel principio di solidarietà, che implica il rifiuto della separatezza fra le persone e il riconoscimento della necessaria interrelazione tra i diversi progetti di vita.
La giustizia esige il superamento di ogni forma di discriminazione ed è necessaria per ristabilire l’uguaglianza negli interessi quando esiste fra loro sperequazione. Ciò significa che l’assegnazione delle risorse pubbliche e degli strumenti di politica pubblica nel campo della salute deve attuarsi in modo equo, senza penalizzare ingiustamente singoli soggetti o diverse categorie sociali.
Quindi la salute è in relazione alla reale capacità del soggetto di perseguire la "sua concezione di salute", di mantenere la propria capacità progettuale nelle scelte esistenziali e la pari capacità e/o possibilità di fruizione dei beni sanitari.
La definizione di salute proposta dall'OMS ha sempre suscitato riflessioni, dubbi, discussioni. Il carattere "utopistico" di tale definizione descrive una situazione di completa soddisfazione e felicità che forse non può essere mai raggiunta, costituendo un punto di riferimento verso il quale orientare i propri sforzi. Il problema è tradurre le dichiarazioni di principio in strategie operative ed in tal senso per dare un impulso significativo al perseguimento della salute da parte dei governi, ai diversi livelli, l'OMS ha cercato di rendere operative, a partire dagli anni ottanta, due strategie: promozione della salute e prevenzione della salute (per tutti) , in modo tale da ridurre la spesa sanitaria nazionale (grazie ad una diminuzione degli accessi ospedalieri) e ad un minor ricorso alle prestazioni sanitarie di cura e al consumo di farmaci.
Nel tempo, sul concetto di salute e sulla sua definizione, si è sviluppato un dibattito internazionale e sono state formulate alcune proposte di definizione alternativa. Fino ad ora però hanno avuto poco successo e quindi la definizione dell'OMS rimane ancora un punto di partenza e di riferimento.
La tradizione popolare ritiene sano chi non ha dolori, febbre o duraturi altri disagi, tanto da impedirgli di svolgere le proprie funzioni. Le "funzioni" dipendono (sempre secondo la tradizione popolare) maggiormente dall'età e dai ruoli sociali. Questa definizione ha il vantaggio di essere di "buon senso" e lo svantaggio di essere poco quantificabile.
Per accertare il grado di salute di una popolazione è necessario individuare degli indicatori (positivi e negativi) mediante i quali è possibile valutare lo stato di benessere della collettività e per rilevare lo stato di salute di una persona, che sono:
A) indicatori positivi
- l'alimentazione: sana ed equilibrata. Deve contenere tutte le sostanze nutritive necessarie al nostro organismo per svolgere le sue funzioni, ovvero proteine, carboidrati, grassi, vitamine e sali minerali. In particolare, dovrebbero essere assunte almeno cinque porzioni tra frutta e verdura al giorno;
- l'attività fisica: regolare e non eccessiva. Il movimento influisce positivamente su vari aspetti del nostro organismo, apportando benefici a livello cardiovascolare, infatti migliora la funzionalità cardiaca, previene malattie cardiovascolari, quali ipertensione arteriosa e ictus; a livello muscolo-scheletrico incrementa la forza, la flessibilità, l'equilibrio e la coordinazione; a livello del metabolismo corporeo contribuisce a prevenire patologie quali diabete mellito e sindrome metabolica. Infine, apporta numerosi benefici anche dal punto di vista psicologico, riducendo lo stress e le tensioni nervose;
B) indicatori negativi
- l'alcol: rappresenta una sostanza tossica, responsabile di danni a carico del fegato, dello stomaco, del sistema nervoso e disturbi di tipo psicologico;
- il fumo: rappresenta la prima causa di morte evitabile, in grado di provocare in primo luogo patologie quali cancro, malattie cardiovascolari e respiratorie.
Il diritto dalla salute secondo la Costituzione della Repubblica Italiana
Nell’attuale ordinamento, non c’è una fonte normativa organica dei diritti della persona: ci sono solo varie disposizioni contenute in fonti normative (costituzione, leggi ordinarie, leggi delegate, ordini d'esecuzione relativi all'applicazione dei trattati internazionali in materia di diritti umani di cui l'Italia è Stato Parte ecc.) che riguardano i diritti della persona e la loro rilevanza giuridica.
La Costituzione, con gli artt. 2, 3 e 32, tutela l’individuo nel suo bisogno di personalità e socialità: il diritto alla salute è riconosciuto come fondamentale diritto dell’individuo. La salute è una situazione soggettiva che deve essere tutelata contro tutti gli elementi nocivi ambientali o a causa di terzi, che possano in qualche modo ostacolarne il godimento.
Lo Stato è chiamato a predisporre strutture e mezzi idonei, ad attuare programmi di prevenzione, di cura, di riabilitazione e di intervento per perseguire l’equilibrio psicofisico della popolazione.
Art. 2 della Costirtuzione
Il diritto alla salute è inteso come "diritto sociale" che realizza nella sanità il principio di eguaglianza fra i cittadini; la lettura testuale dell’art. 2 della Costituzione fornisce delle indicazioni precise: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo (…)».
L’uso del verbo riconoscere è stato interpretato dalla dottrina come indizio del fatto che nell’ordinamento i diritti inviolabili dell’uomo sono preesistenti alla Carta costituzionale, ed hanno un valore pregiuridico: l’ordinamento non li crea ex novo ma si limita a ammettere la loro esistenza.
Proprio questo valore pregiuridico ha consentito alla giurisprudenza di trasformare l’art. 2 cit. in una sorta di clausola aperta, affermando che l’art. 2 lascia all’interprete e al giurista la possibilità di verificare se (nell’evoluzione sociale) emergano diritti direttamente dalla consapevolezza della necessità di tutela e garantire le persone.
In altre parole dall’art. 2 ne deriva:
- l’atipicità dei diritti della persona, ossia una serie diritti che possono essere riconosciuti al di fuori della costituzione e che possono sorgere con l’evoluzione dei tempi, dovendosi riconoscere una tipicità sociale (ossia nata nella prassi e consuetudine) di tale categoria, ma non giuridica (perché non espressamente riconosciuta da alcuna norma scritta);
- l’universalità dei diritti della persona riconosciuti all'uomo e alla donnaindistintamente e non quindi limitatamente al cittadino: quindi la Costituzione riconosce questi diritti non solo a chi è cittadino ma anche a tutti coloro che si trovano ad avere contatti con il nostro ordinamento, apolidi (individui privi di nazionalità) o stranieri, anche se lo straniero proviene da un ordinamento che non garantirebbe gli stessi diritti al cittadino italiano (irrilevanza della cd. clausola di reciprocità).
Anche in Germania, la Costituzione del 1949 richiama i diritti della personalità speciale, senza peraltro elencarli. In altre Costituzioni (spagnola, portoghese e greca), invece, sono dettagliatamente elencati tali diritti. L'art. 2 della Costituzione va letto ed interpretato congiuntamente all'incipit dell'art. 10 della Costituzione, che recita: "l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute." Attraverso questa norma, il diritto internazionale generale in materia di diritti umani viene automaticamente incorporato nell'ordinamento giuridico interno, così garantendo la conformità dei minimi standard interni di tutela della persona con quelli internazionalmente vigenti nonché il rispetto degli obblighi dell'Italia di fronte alla comunità internazionale.
Art. 3 della Costituzione
L’articolo dispone che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
L’articolo è sicuramente uno dei principi più significativi della Costituzione Repubblicana: esso è il portato dei valori che discendono dalla rivoluzione francese (Liberté, égalité et fraternité) e dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
Quando, nel 1946, iniziarono i dibattiti alla Assemblea Costituente, l’Italia era appena uscita dalla seconda guerra mondiale, il paese era parzialmente distrutto, il popolo viveva in una situazione difficile, tra la speranza di una rinascita e la paura di non farcela. I diritti erano davvero pochi, cosi come le tutele sociali. Si sentiva quindi il bisogno di affermare, nella Carta Fondamentale, che l’obiettivo ultimo della Repubblica sarebbe stato quello di aiutare i cittadini a raggiungere un regime di vita dignitoso, nel rispetto di tutte le individualità.
La proclamazione del principio di uguaglianza segna una rottura decisa nei confronti del passato, quando la titolarità dei diritti e dei doveri dipendeva dall’estrazione sociale, dalla religione o dal sesso di appartenenza.
Nell’art. 3, bisogna distinguere il primo comma che sancisce l’uguaglianza in senso formale, dal secondo che riconosce l’uguaglianza in senso sostanziale.
Nell’uguaglianza “formale” trova espressione la matrice liberale della democrazia Italiana, in quella “sostanziale” si rivela il suo carattere sociale. Uguaglianza formale vuol dire che tutti sono titolari dei medesimi diritti e doveri, in quanto tutti sono uguali davanti alla legge e tutti devono essere, in egual misura, ad essa sottoposti. Le varie specificazioni «senza distinzioni di» furono inserite affinché non trovassero posto storiche discriminazioni, quali, ad esempio, la divaricazione dei diritti tra uomini e donne, alla quale intendeva porre fine l’affermazione di un’uguaglianza «senza distinzioni di sesso». Così, l’uguaglianza «senza distinzioni di razza» serviva a preservare l’ordinamento costituzionale, mettendolo al riparo dall’infamia delle leggi razziali.
Tuttavia, la nostra Costituzione non si arresta al riconoscimento dell’uguaglianza formale: essa va oltre assegnando allo Stato il compito di creare azioni positive per rimuovere quelle barriere di ordine naturale, sociale ed economico che non consentirebbero a ciascuno di noi di realizzare pienamente la propria personalità.
Questo passaggio concettuale è pregnante, poiché consente di affermare che le differenze di fatto o le posizioni storicamente di svantaggio possono essere rimosse anche con trattamenti di favore che altrimenti sarebbero discriminatori.
La tutela della salute è, per l’art. 3 della Costituzione, uno strumento di elevazione della dignità sociale dell’individuo e quindi costituisce interesse della collettività; la tutela della salute, vista come "rispetto della persona umana", assume un carattere personalistico tanto che il mancato riconoscimento di mezzi di tutela per singoli aspetti specifici di protezione viola il valore costituzionale della persona.
Art. 32 della Costituzione
Il comma 1 prevede che “la repubblica tutela la salute, come fondamentale diritto dell'individuo, così come interesse per la collettività, garantendo cure per gli indigenti”.
Inizialmente si riteneva che la norma avesse una natura soltanto programmatica, da applicarsi sul piano burocratico organizzativo; successivamente fu assegnato un valore anche precettivo (volto alla tutela della salute non più solo del singolo, ma anche della collettività che necessita uno stato di salute generale per crescere e affermarsi in modo migliore).
Con la legge n. 883 del 1978 è stato istituito l' SSN (sistema sanitario nazionale) con il precipuo obbligo di fornire tutto ciò da ritenersi essenziale e indispensabile per il mantenimento della salute di ogni cittadino senza alcuna limitazione.
Tuttavia il sistema di dare tutto a tutti si rivelò presto inefficace, facendo sentire il bisogno di un collegamento tra politica sanitaria e finanziaria a causa di periodi di crisi e di vari debiti. Con i decreti legislativi n. 502/1992 e n. 229/1999 il sistema fu ulteriormente rinnovato dotando le nuove strutture di personalità giuridica pubblica, autonomia imprenditoriale e improntando la gestione economica su criteri di efficienza efficacia ed economicità.
Con la Legge 317 del 2001 obiettivo fondamentale del Ministero della Salute è stato quello di garantire lo stato di benessere all’intera popolazione del territorio nazionale.
in particolare, i compiti attribuitigli sono i seguenti:
- assicurare il buon funzionamento del Servizio Sanitario Nazionale, prestando attenzione alla qualità e all’efficienza, utilizzando metodi informativi efficaci;
- migliorare le situazioni che presentano elementi di criticità nell’ambito sanitario;
- collaborare con tutte le istituzioni, per favorire un costante miglioramento;
- pianificare eventuali interventi per affrontare situazioni di pericolo che minacciano la salute della collettività.
Il comma 2 così recita: “nessuno può essere obbligato a essere curato, se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun modo violare i limiti imposto dal rispetto dell'individuo”.
Dalla lettura dell’articolo ne deriva il riconoscimento del diritto alla vita e all’integrità fisica.
Come tutti sappiamo il medico non può impedirci di fumare un pacchetto di sigarette al giorno, sebbene a lungo andare le conseguenze di questo vizio possano essere pericolose per il fumatore (possono portare all’insorgenza di forme tumorali fino alla sua morte) , costose per la collettività chiamata a sostenere il costo sociale per le sue cure..
Tuttavia il fumo non essendo una malattia ed essendo la morte evento eventuale e non immediato, il legislatore nei confronti del fumatore rimane tollerante mancando un “interesse” ad agire. Sul punto non bisogna nascondere gli interessi economici che fanno capo allo Stato che ha il monopolio dei tabacchi e che potrebbero prevalere anche sul diritto alla salute.
Nel caso di malattie mortali (come il diabete) per le quali sorge la necessità di assumere farmaci salvavita, il legislatore ragiona in modo diverso in presenza dell’evento certo della morte.
Nessun problema sorge nel caso in cui il paziente diabetico accetti di assumere l’insulina.
Il problema emerge nel caso in cui il paziente non accetti la malattia oppure nel caso in cui decida di non assumere l’insulina per altre finalità più frivole come ad esempio per paura di ingrassare (cfr. diabulimia).
In questi casi lo Stato è obbligato ad intervenire anche contro la vita del paziente proprio per le diritto alla vita che prevale fondamentali della vita e quindi del diritto alla salute quale diritto fondamentale ed insopprimibile dell’uomo: è il diritto alla vita che prevale sulla volontà contraria del paziente.
Ricorre altresì il diritto all' integrità fisica, non ritenendosi legittimo un atto che comporti una diminuzione permanente: l’art. 5 del cod. civ, prevede che “... gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all' ordine pubblico o al buon costume...”.
Questo problema si è posto in un analogo caso in cui i genitori (appartenenti ai testimoni di Geova), per motivi religiosi, decisero di rifiutare una trasfusione alla propria figlia. In questo caso l' art. 3 (diritto alla libertà di religione) entra in contrasto con l' art. 32 (diritto alla salute). Il PM (pubblico ministero) come portatore degli interessi dello Stato sottopose il caso al giudice tutelare che fece prevalere il diritto alla vita consentendo la trasfusione.
Una eccezione a questo principio ricorre in caso di bilanciamento di interessi (abwagung o balancing test): difatti nel caso in cui un soggetto chieda l' espianto di un suo organo al fine di garantire la sopravvivenza di una terza persona (di solito un parente stretto) l' ordinamento tollera interventi invasivi e che andrebbero a contrastare l' art. 5 cod. civ. affinché essi mirino alla salvaguardia della salute di un altro individuo.
L’art. 32 della Costituzione, quindi, garantisce il diritto di libertà individuale tale che "nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizioni di legge", legge che "non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana".
Nello stesso articolo si sottolinea pure la gratuità delle prestazioni sanitarie a favore degli indigenti;
Per qualche autore (Chieffi) per lungo tempo l’art. 32 della Costituzione è stato considerato solo nell’aspetto "pubblicistico" della salute, cioè come mero interesse della collettività, comprimendo la prospettiva individualistica, pur esplicitamente sancita dal dettato costituzionale.
La Corte Costituzionale nella sentenza 88 del 1979 ha ribadito che la salute è soprattutto "un diritto individuale fondamentale, primario ed assoluto, da inquadrare tra quelle posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione": la salute viene vista come "l’oggetto di un diritto inviolabile dell’uomo da inserire tra quelli garantiti dall’art. 2".
Per quanto riguarda i trattamenti obbligatori, ricordiamo che per l’art. 32 della Costituzione solo la legge può stabilire che determinati trattamenti siano obbligatori, anche se in nessun caso questi possono violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
Fonti
http://it.wikipedia.org/wiki/Diritti_della_persona
http://it.wikipedia.org/wiki/Salute
http://www.ristretti.it/areestudio/salute/inchieste/baccaro/diritto.htm
http://www.centroperidirittidelmalato.it/documenti/storia_ssn.htm
http://www.flcgil.it/pagine-web/60-anni-della-costituzione/articolo-32.flc
http://www.diritto.it/docs/27909-brevi-note-sull-art-32-cost
http://impariamolacostituzione.wordpress.com/2010/03/27/articolo-3/