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Gli inibitori di pompa - Diabetescore
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Il diabete di tipo 1 non è caratterizzato solo dal fatto che le beta cellule vengono distrutte per un attacco autoimmune, ma anche dal fatto che le ‘superstiti’ non sono in grado di rigenerarsi.

Quindi  l’unica soluzione è quella di pensare ad una terapia di associazione, che preveda sia uno scudo di protezione per le beta cellule dall’attacco immunitario, sia un farmaco che aiuti la beta cellula a rigenerarsi. E possibili candidati alla terapia rigenerativa sembrano essere gli inibitori di pompa protonica (PPI), farmaci normalmente utilizzati in chi soffre di gastrite o di ulcera peptica. Dei PPI viene sfruttato il loro effetto di far aumentare i livelli di gastrina, un ormone prodotto dallo stomaco, che oltre a regolare la secrezione gastrica, stimola anche la proliferazione delle cellule pancreatiche (quelle dei dotti), sia nell’animale che nell’uomo.

Gli inibitori di pompa saranno dunque protagonisti di un nuovo studio su pazienti con diabete di tipo 1 neodiagnosticato nel quale, come terapia immunosoppressiva, è stato ‘ripescato’ un vecchio farmaco (la ciclosporina) comunemente utilizzato in un ampio spettro di malattie autoimmuni (dal morbo di Crohn, all’artrite reumatoide).

In passato la ciclosporina era stata già utilizzata nel diabete di tipo 1, ma poi accantonata per paura di possibili effetti indesiderati a livello renale. Paura, successivamente fugata da altri studi che hanno dimostrato una sostanziale sicurezza della ciclosporina per la salute dei reni.

Da tutte queste considerazioni  è nata l’idea per un nuovo studio clinico, l’Insulin Independent Trial, che si rivolgerà a pazienti con diabete di tipo 1 di nuova diagnosi. L’obiettivo è dimostrare che i pazienti di tipo 1 trattati con ciclosporina e lansoprazolo, dopo 6 mesi di trattamento riusciranno ad ottenere un periodo libero da terapia insulinica.

Il coordinatore dello studio a livello europeo sarà il professor Paolo Pozzilli e i pazienti verranno reclutati a partire da gennaio 2014.

In conclusione – secondo Stefano Del Prato, presidente della Società Italiana di Diabetologia (SID) - il momento della diagnosi di diabete di tipo 1 è quello ideale per andare ad agire e a proteggere le beta cellule che sono ancora presenti e funzionanti. Il fallimento degli studi di immuno-intervento, per quanto concettualmente logici in una malattia autoimmune quale il diabete di tipo 1, potrebbe forse dipendere dai farmaci che sono stati impiegati, o dalla grande eterogeneità dei pazienti arruolati negli studi.

L'intero articolo della d.ssa Chiara Guglielmi, endocrinologa dell'Università Campus Biomedico di Roma lo si può consultare al seguente link:

Fonti

http://www.liberoquotidiano.it/news/salute/1337965/Diabete-1----e-in-arrivo---una-terapia----definitiva---.html